Esistono almeno due tipi di bellezza. C’è una bellezza immediata, meramente di superficie e subito seducente, una meteora che solca il cielo, ti stupisce per quell’attimo di luce per poi non lasciare alcuna traccia nella tua vita.
Poi c’è una bellezza profonda, una bellezza che vibra alla stessa frequenza della tua anima e tatua il tuo cuore con il suo nome, per sempre. Ques’ultima è quella bellezza che soltanto chi ama può comprendere, un legame profondo, intenso e incondizionato senza perché. Nasce dalla conoscenza, è un viaggio infinito di scoperta.
Le due bellezze non sono necessariamente scisse, possono esistere nello stesso momento, ma soltanto se c’è la seconda c’è davvero amore. Quante opere d’arte passano davanti ai nostri occhi, quante ci appaiono immediatamente belle per poi non stupirci più e quante invece non possiamo fare a meno di ammirare e vorremmo avere l’onore di diventare noi i custodi di tale magia? Quando abbiamo incontrato la prima volta le opere d’arte di Cristina Sodano la sensazione è stata piuttosto chiara: c’era qualcosa di più da scoprire, sembrava di trovarsi di fronte a una strada senza indicazioni ma che in qualche modo ci avrebbe portato nella direzione esatta nella quale non sapevamo neanche di poter andare. Inizia da qui il nostro viaggio alla scoperta di quella bellezza profonda che Cristina Sodano, forse in modo del tutto inconsapevole, sta offrendo al mondo dell’arte attraverso le opere di un nuovo ciclo pittorico iniziato nel 2017 e definito “identità” Dai Protoumani alle Identità
Nel 2017 l’artista italiana Cristina Sodano, già con alle spalle oltre centoquindici esposizioni e una lunga ricerca stilistica, inaugura un nuovo ciclo pittorico che prenderà presto il nome di “Identità”. Esistono due opere che anticipano tale progetto: i Protoumani. Sono due opere che l’artista ha deciso di rendere irripetibili e intitolate l’una “Protoumano n.1” (Fig. 1) e l’altra “Protoumano n.2” (Fig. 2). I Protoumani rappresentano l’inizio di una “specie”, l’inizio di una storia, il principio. Le tele raffigurano due personaggi del tutto neutri dal punto di vista espressivo, il primo con sembianze che richiamano il “femminile” e il secondo rappresentativo del “maschile”. Da questi “primi umani”, una sorta di “Eva e Adamo” quasi “alieni” come a richiamare un’origine comune e “ignota” della specie come oggi la conosciamo, Cristina Sodano genera artisticamente una discendenza, appunto le “Identità”.
C’è una forte sensazione di cambiamento nell’arte della Sodano, una vera e propria trasformazione artistica che coincide con molta probabilità con una trasformazione esistenziale personale.
Con i Protoumani e con le identità, Cristina Sodano appare artisticamente matura, consapevole della strada da intraprendere, decisa e sicura. E’ qui che appare tutta quella bellezza della quale abbiamo parlato in introduzione. Una bellezza che diviene tanto più intensa quanto più si conosce il progetto artistico dell’autrice.
Oggi i Protoumani sono parte di un’importante collezione privata, collezionisti che hanno l’onore e quindi anche l’onere di essere divenuti custodi di tale patrimonio artistico-culturale.
Dai Protoumani quindi si generano le Identità. Formalmente è un ciclo di ritratti con delle particolari caratteristiche, dei parametri specifici stabiliti dall’artista i quali vanno conosciuti per comprendere pienamente il forte concetto che sostiene questo ciclo pittorico.
I Ritratti della serie Identità sono tutti realizzati in olio su tela 30x30cm. Le dimensioni delle tele sono sempre le stesse, uguali per ogni opera del ciclo. I ritratti sono tutti a mezzo busto e l’artista ritrae volti espressivamente neutri, cercando volutamente di non rappresentare in modo evidente stati emotivi. Gli occhi sono inoltre rappresentati leggermente ingranditi. La figura si staglia su uno sfondo “mono-tono” proprio ad esaltare la centralità e l’importanza del personaggio ritratto. L’abbigliamento è sempre neutro e nel ritratto non ci sono elementi decorativi aggiuntivi. Infine il titolo di ogni opera indica un’identità di ruolo sociale, in particolare una professione. Abbiamo l’Erborista (Fig. 3), il Giornalista (Fig. 4), l’Apprendista (Fig. 5) e così via.
Con tali aspetti formali Cristina Sodano ci mette di fronte a un concetto che riguarda davvero tutti in ogni momento della vita. Attraverso l’arte si possono aprire porte che altrimenti rimarrebbero chiuse se non del tutto nascoste e la Sodano tenta, con estremo vigore, di trovare una chiave di accesso quasi universale. Perché, alla fine di tutto, che senso ha realmente nascondersi?
La domanda fondamentale alla quale siamo chiamati a rispondere per tutta la nostra vita è spesso “Chi siamo?”.
Siamo quello che decidiamo di essere, siamo quello che gli altri ci attribuiscono, quello che vorremmo apparire o altro? Siamo semplicemente noi oppure l’essere umano ha davvero bisogno di un ruolo sociale per esistere? Ecco allora che Cristina Sodano si interroga su quale sia più importante tra la necessità di “essere” e la necessità di “essere riconosciuti” e quanto sia difficile essere amati per quello che siamo rispetto all’essere “amati” per un bell’abito che portiamo.
Alla domanda “chi sei?” come risponderemmo? Diremmo “sono un architetto”, “sono un artista”, “sono un commesso” oppure semplicemente “sono tutto quello che vedi, niente di più niente di meno?”. La tendenza a rispondere con un ruolo è molto più che comune, è quasi la “norma” e richiama un’evidente aspettativa sociale.
Il ruolo veste troppo spesso in modo coprente la persona, la sua “vera” Identità. A volte ci auto-imponiamo un ruolo, ci cuciamo addosso una camicia di forza e nel tentativo di essere liberi finiamo con incastrarci in quello che “vorremmo essere” rispetto a un nostro ideale oppure adattarci alle aspettative degli altri. In entrambi i casi potremmo allontanarci da quello che siamo davvero. Le nostre sovrastrutture sono impalcature a volte così complesse da diventare il mezzo che utilizziamo per allontanarci da noi stessi, dalla nostra pura e semplice umanità.
Cristina Sodano parla di tutto questo, di ruolo, di proiezioni e percezioni, di attribuzioni e di identità e porta di conseguenza l’osservatore in una posizione realmente attiva nella costruzione dell’opera d’arte e dell’esperienza che ne deriva. La Sodano è riuscita nel suo intento di produrre un’intensa sinergia tra artista, opera d’arte e osservatore. Le Identità di Cristina Sodano sono opere “vive” che osservano e si lasciano osservare, opere che comunicano in continua interazione. Non è quindi un monologo, è sempre un dialogo aperto.
Torniamo così agli aspetti “formali” delle opere del ciclo “identità”. Abbiamo visto come la Sodano utilizza alcuni parametri stabili per indicare gli aspetti di uguaglianza e pari potenzialità tra gli esseri della stessa specie. I volti ritratti sono distinti quasi esclusivamente in “identità di genere”, uomini e donne anche se, a volte, tale distinzione può apparire molto sfumata (v. Fig. 5, L’Apprendista). Nell’opera “L’Apprendista” del 2018 (ibidem) anche il titolo è stato scelto in modo neutro in modo tale da non richiamare un’identità di genere ben definita come invece è per l’opera “il Giornalista” (Fig. 4) nella quale l’identità di genere è ben chiara, maschile, sia visivamente che attraverso il titolo.
Abbiamo già accennato agli occhi dei “personaggi” che vengono ritratti con dimensioni leggermente più grandi, sempre aperti e con sguardo centrale, come a dire che non c’è timore per quello che siamo, non c’è timore di osservare e soprattutto ci si libera dal timore del giudizio degli altri. Le opere vogliono attirare lo sguardo, vogliono parlare, dialogare, lasciare entrare luce nel proprio universo esperienziale e non hanno paura di accogliere, perché sono in pace con se stesse e vogliono trasmettere tale sensazione.
L’osservatore si trova così nella piena libertà da una parte di proiettare le proprie idee e fantasie, di comunicare all’opera la propria esperienza, e dall’altra di accogliere la suggestione stessa dell’opera. Il dipinto diviene così un interlocutore attivo.
Dall’aspetto formale si entra quindi nel pieno del concetto. Il “titolo” dell’opera arriva a completare e chiarire il profondo discorso concettuale di Cristina Sodano. Con il nome dell’opera ci troviamo di fronte a un’Identità sociale. L’artista sceglie un titolo che richiama un ruolo, con particolare attenzione a una professione. Il nome dell’opera non vuole né orientare, né disorientare. La Sodano inoltre attribuisce un titolo che non rappresenta necessariamente la posizione sociale reale della persona ritratta.
Prendiamo ad esempio “l’Erborista” (Fig. 3), solo per citare la prima opera del ciclo “Identità” creata subito dopo i Protoumani (Fig. 1 e 2). Qui si evidenzia tutto il “genio creativo” e l’intensità concettuale della Sodano. Da cosa nell’opera possiamo intuire che si tratti davvero di un’erborista? Abbiamo visto come l’autrice utilizza aspetti neutri nella realizzazione dell’opera. Ricordiamo che i volti ritratti non lasciano trapelare chiare emozioni e soprattutto sono privi di elementi decorativi che possano determinare con esattezza un ruolo sociale. In realtà Cristina Sodano comunica che quel volto, quella persona ritratta, quell’identità è una sorta di “cellula staminale”, può essere o divenire tutto ma, alla fine, sarà sempre e soltanto se stessa, quello che si percepisce attraverso ogni senso, è un “io sono” e chiede di essere amata per questo, in modo incondizionato, come una “genitore sano” di fronte al figlio neonato scoprirà di amare un altro più di se stesso soltanto perché esiste.
Ci troviamo immersi in una specie di “gioco”. Di fronte a un’opera potremmo affermare “a me sembra questo… o quello” oppure cercare di trovare elementi che possano o confermare o disconfermare il titolo attribuito. Ai due estremi potrebbe esserci chi afferma “in effetti mi sembra un’erborista” o chi afferma l’esatto contrario. E’ davvero così importante? La stessa persona ritratta per la Sodano potrebbe avere ruoli diversi contemporaneamente e rimarrebbe ancora una volta sempre se stessa, sempre elemento centrale della propria esperienza unica e speciale. Pensiamo a una donna, per esempio, che può essere anche madre ed è anche figlia e allo stesso tempo è anche professionista e contemporaneamente è anche altro e altro ancora. Qualsiasi ruolo scegliessimo o ci venisse attribuito rimarremmo noi, volenti o nolenti, sia che lo riconoscessimo sia che lo negassimo. Questo aspetto è di fondamentale importanza perché fin troppi di noi confondono il ruolo per la vita e, terminato un ruolo, potrebbero sperimentare la sensazione che sia terminata la loro stessa esistenza. Chi invece è, lo è per sempre!
Tre opere della serie “Identità” della Sodano sono state selezionate per la Biennale di Salerno del 2018 e saranno pubblicamente esposte presso la Biennale nell’autunno del 2018, a testimonianza della capacità dell’artista di suscitare l’interesse di chi di arte vive ogni giorno. Potremmo parlare per ore e scrivere testi interminabili di questo ciclo pittorico della Sodano e trovare ogni volta elementi di alta suggestione, spunti di profonda ispirazione. E’ un vero e proprio viaggio di scoperta, è una ricerca incessante, la quale apre a una conoscenza sempre più dettagliata. Quello che emerge dal ciclo “Identità” è un’energia di un’intensità tale da lasciare un segno graffiato in ogni anima. E’ così che l’autrice si è fatta “scoprire” in tutta la sua bellezza artistica, quella bellezza profonda che renderà l’arte della Sodano semplicemente eterna, una nuova terra segnata su quella grande mappa che chiamiamo storia, cultura e conoscenza.
a cura di
Marco Baranello
Pavia, 16 luglio 2018
Come citare questa fonte bibliografica
Baranello, M. (2018)
Le Identità di Cristina Sodano.
Artingout.com, Pavia, 16 luglio 2018.