L’artista è in genere un creativo, chi cerca di trasformare un’idea, un’immagine, un pensiero in una rappresentazione condivisa, con valore di unicità. La libertà è sicuramente la forza creativa che sostiene gli artisti così come accade per gli scienziati. L’autonomia professionale, la libertà di pensiero e di azione sono il fulcro dell’attività di un artista. La libertà però muore di fronte alla coercizione, all’imposizione.Ecco allora che ci troviamo a parlare di argomenti non molto trattati, quelli dei contratti di esclusiva con gli artisti. Spesso l’artista, mosso dalla sua passione, quando incontra un gruppo come una rinomata galleria d’arte che vorrebbe investire nella sua arte in cambio però della sua stessa anima, firmando un’esclusiva, si sente in qualche modo privilegiato. Ma siamo sicuri che valga proprio la pena?
Chi propone esclusive in genere promette monetizzazione costante, una specie di fisso all’artista. Da libero professionista si trasforma in una specie di dipendente. Così l’artista si fa due conti e, considerando le fluttuazioni e l’insicurezza del mercato dell’arte, inizia a pensare che dopotutto è molto conveniente percepire denaro in modo continuativo. “Dopotutto ogni contratto ha una scadenza e si può sempre decidere di non rinnovarlo!” questo è quello che spesso pensano gli artisti senza considerare altre e più importanti variabili. A volte i contratti sono molto semplici, all’artista viene chiesto anima e corpo in cambio di una sicurezza economica, qualche catalogo ed esposizioni. Se i contratti fossero rispettati da entrambi le parti, se davvero le varie gallerie o i televenditori fornissero i pagamenti promessi nei tempi dichiarati e lasciassero nello stesso momento piena autonomia all’artista nella sua produzione e nella sua “politica” creativa, senza chiedere opere in eccesso, non ci sarebbe un grande problema ma più o meno un vantaggio per tutti. Però potrebbe accadere che gli “investitori” posticipino i pagamenti ma nel frattempo chiedano produzioni artistiche cospicue oppure che impediscano all’artista anche il minimo movimento o che suggeriscano addirittura la tipologia di opere da realizzare! Se così fosse l’artista si troverebbe in una situazione d’incastro psicologico. Da una parte c’è un contratto con una promessa di pagamento ma dall’altra sembra che l’unico che debba rispettare le norme contrattuali sia l’artista. Quando il pagamento c’è ed è coerente, quando c’è libertà espressiva, quando non è richiesta iperproduzione e quando la galleria permette l’inserimento dell’artista nel mercato anche utilizzando altre gallerie, allora i problemi sarebbero quasi nulli. Ci sono comunque molte variabili in gioco che potrebbe essere utile illustrare.
L’obbligo alla produzione mortifica la creatività e la persona
Un altro caso, che non esclude il precedente, è la sensazione di obbligo alla produzione dell’artista. Nei contratti in genere si richiede un numero più o meno fisso di opere. Questo è il problema principale, la vera castrazione della creatività e della libertà. Imporre un obbligo creativo è imporre all’organismo di essere spontaneo, esattamente l’opposto della spontaneità! Non si può per definizione essere spontanei a comando. Così l’artista si trova nuovamente incastrato in un meccanismo per il quale deve produrre e deve farlo sempre anche in quei momenti in cui non ci sono idee. La produzione può diventare quasi artigianale, quasi in serie. Così vediamo la produzione di opere sempre uguali, con poche variazioni. L’uso del coefficiente, in questi casi, è utile per tutelare l’artista e il collezionista d’arte. Il coefficiente rappresenta uno strumento di valutazione base che sintetizza numerosi criteri e che permette di offrire una stima delle opere tra loro simili e, allo stesso tempo, permette di seguire l’andamento del mercato di un artista. Comunque, quando c’è una iper-produzione legata a un’esclusiva, la galleria inizierà a disporre di centinaia se non di migliaia di produzioni del tutto simili. Il problema vero, in questo caso, è che l’artista può iniziare a percepirsi svuotato, privo di idee ed iniziativa, obbligato solo alla produzione come in una catena di montaggio, non più appassionato alla sperimentazione, alla creatività. Si può percepire “prigioniero dell’esclusiva” con la galleria d’arte. Ricordiamo che le esclusive impediscono agli artisti di vendere per proprio conto, a volte, nei casi più rigidi, addirittura di regalare un’opera a un familiare o a un amico e spesso impediscono la possibilità di mostre personali autonome. Tutto deve passare per il filtro di chi detiene l’esclusiva. Mentre contratti di collaborazione con gallerie, consulenti e servizi di maketing e management che cerchino di fungere da medium per lo sviluppo dell’artista con contratti di esclusive parziali, la faccenda cambia e potrebbe essere molto più proficuo per la promozione e la tutela del professionista dell’arte.
Tutelare la propria arte, il talento e la professione di artista
Un buon contratto di esclusiva, secondo noi, dovrebbe garantire dei gradi di libertà all’artista, favorire il benessere non solo economico ma anche psicologico dell’artista, tutelarne il talento e favorirne davvero lo sviluppo e la crescita. E’ davvero difficile però trovare contratti di esclusiva (o esclusiva parziale) basati sull’etica dell’investimento in arte. Ricordiamo inoltre che le esclusive spesso creano disagio in chi, prima della galleria che ha stipulato il contratto, ha invece da sempre creduto nel lavoro dell’artista, nei galleristi precedenti, nelle persone che, a volte, hanno addirittura favorito la crescita dell’artista stesso e che si trovano, improvvisamente, escluse da tutto, emarginate, rinnegate! I contratti di esclusiva, appunto escludono tutti gli altri! Questo è davvero un serio problema perché si perde una più ampia rete di supporto. Se la galleria fallisse o decidesse di non investire più nell’artista, siamo sicuri che l’artista potrà fare affidamento su coloro che si sono sentiti traditi?
Se un artista è corteggiato da gallerie d’arte che vogliono l’esclusiva in realtà significa che c’è tutto l’interesse d’investimento e quindi l’artista stesso ha maggiore potere. In tali casi è preferibile affidarsi a consulenti in marketing e management per favorire il proprio sviluppo artistico e professionale quindi riuscire a monetizzare il proprio talento in modo etico. A volte sono preferibili contratti di breve durata, oppure esclusive limitate ad una certa produzione, anche se, in questo caso, scongliamo di incastrarsi.
Il consiglio agli artisti è di valutare se vale davvero la pena sottoscrivere contratti di esclusiva (che comunque vanno sempre sottoposti alla valutazione di un proprio legale di fiducia) utilizzando sempre un procuratore personale, un’interfaccia tra la propria arte e competenza e il mercato. L’uso di un procuratore, di un consulente è davvero importante per evitare manipolazioni e non cadere in trappole di tipo psicologico. Affidarsi quindi sempre a qualcuno, di estrema fiducia, interessato a tutelare gli interessi dell’artista. Nel contratto di esclusiva inoltre, inserire sempre una clausola che tuteli l’artista da mancati pagamenti e ritardi nei pagamenti. Ad esempio “in caso di ritardo nel pagamento superiore a tre mesi solari l’artista è transitoriamente svincolato da ogni esclusiva fino a copertura del saldo”. Una difficoltà da parte dell’ente di inserire una simile clausola potrebbe essere l’indicatore della difficoltà a mantenere la promessa di pagamento da parte della galleria.
Anche in caso di esclusive parziali l’artista deve ricordare di stipulare un contratto chiaro e registrato anziché fidarsi a “contratti di tipo verbale”. La tutela per l’artista è fondamentale.
La creatività e il talento non devono essere mortificati dal mercato, devono invece essere esaltati e tutelati per il benessere di tutti, degli artisti ma anche dell’arte come patrimonio culturale comune.
Iperproduzione, Crescita e Svalutazione
Torniamo per un momento sull’idea che spesso hanno gli artisti quando decidono di firmare un’esclusiva con una galleria d’arte rispetto al fatto che in fondo ogni contratto abbia un termine e che, se non dovesse andare, non sono obbligati a rinnovarlo. Quello che a volte non viene considerato è il fatto che per tutta la durata del contratto la galleria d’arte che ha l’esclusiva ha acquistato tutta la produzione dell’artista, spesso centinaia o migliaia di pezzi e lo ha fatto con una spesa molto bassa rispetto a quanto poi sarà il valore commerciale delle opere dell’artista. Sappiamo di rapporti che addirittura sfiorano 1 su 10. Vale a dire che la galleria compra al 10% del valore commerciale dell’opera. In pratica annulla di fatto ogni tipo di concorrenza potendo poi applicare il prezzo che vuole, anche sottostimato! Un ottimo rapporto, secondo noi, è i circa 1 a 3 oppure in alcuni casi 1 a 4. Rappporti con denominatore superiore potrebbero essere pericolosi. Ora immaginiamo una situazione per la quale la galleria d’arte con l’esclusiva abbia in magazzino centinaia di opere dell’artista e che si sia concluso in contratto (per volere di una o dell’altra parte o per decorrenza dei termini). Ora l’artista non potrà mai piazzare da solo sul mercato le proprie opere a un prezzo maggiore di quello di una galleria, a meno che non ci sia la convergenza di due fattori: 1) cambio di produzione 2) successo della nuova produzione sul mercato. Se la galleria vuole liberarsi dei pezzi potrebbe svalutarli rispetto al valore commerciale raggiunto riducendo il coefficiente di vendita delle opere. Sapendo che la galleria ha acquistato a prezzo basso può permettersi di operare notevoli sconti e guadagnare lo stesso. Però il mercato dell’arte vedrebbe una descrescita del valore dell’artista anzichè un incremento e potrebbe considerare l’artista in caduta quindi non essere un investimento sicuro. L’artista stesso non può vendere quindi al valore raggiunto e deve necessariamente, per poter essere concorrenziale rispetto alla galleria che detiene la maggior parte delle sue opere e per poter sopravvivere, diminuire ulteriormente il suo prezzo di vendita. La capacità però di vendita diretta dell’artista potrebbe essere minore rispetto a quella della galleria e di conseguenza ciò potrebbe determinare una considerevole perdita del benessere raggiunto dall’artista. Altre volte tale svalutazione può essere determinata da fattori psicologici legati a conflitti tra gallerie o tra artista e gallerie. Ricordiamo che dietro ogni mercato ci sono sempre esseri umani, quindi fattori fortemente psicologici. L’artista deve tenere conto di tutto questo e, di nuovo, il consiglio è quello di affidarsi a consulenti che si pongano come interfaccia tra l’artista ed il suo mercato. Artingout, ad esempio, nel proprio direttivo vanta esperti e professionisti in diverse discipline come economia, marketing e management, psicologia, storia dell’arte. Questo perché crediamo fortemente che l’integrazione di più competenze possa offrire una visione più ampia e quindi una maggiore sicurezza per arte, artisti e collezionisti. Insomma dietro un contratto di esclusiva totale quando è richiesta iper-produzione, potrebbe celarsi il fantasma della svalutazione.
Quando invece conviene l’esclusiva totale?
Ci sono casi per i quali un’esclusiva completa con una galleria può essere conveniente per un artista. Ad esempio quando l’artista ha un’idea d’investimento a termine, quando sa che finita una produzione ne inizierà una completamente diversa o quando addirittura sa che cambierà mestiere. Allora l’esclusiva vale come investimento come sicurezza economica che permette all’artista di acquisire risorse da investire in altro. L’esclusiva conviene altresì quando l’obiettivo è meramente quello di acquisire risorse economiche immediate. Conviene anche agli artisti non più giovanissimi di età e, indipendentemente dall’età, quando il magazzino dell’artista è saturo. L’artista può fermarsi o progettare nuove produzioni e nel frattempo fornire alla galleria le sue giacenze. Può convenire anche a chi non ha davvero alcuna possibilità d’investimento o di crescita.
Quando è sconsigliata l’esclusiva totale?
Si sconsiglia di chiudersi in un contratto di esclusiva totale con una galleria d’arte quando ci sono molti corteggiatori dietro l’artista, quando molte gallerie vorrebbero l’esclusiva. In questo caso significa che l’artista è già apprezzato e che può crearsi da solo un mercato, utilizzando propri consulenti di fiducia o affidandosi a servizi di management. Conviene vendere alle gallerie di volta in volta i pezzi che servono, farsi pagare in questo caso all’atto della cessione dell’opera anziché utilizzare il conto vendita dell’opera d’arte. Questo atteggiamento permette anche di discriminare tra le gallerie che hanno reali capacità di piazzamento delle opere. Si consiglia in questi casi di non creare sovraproduzione e permettere al mercato di assorbire gradualmente la produzione artistica che avrà così un incremento di valore. In questo caso il mercato e le politiche del proprio mercato le decide l’artista insieme ai propri consulenti (pagati dall’artista e non il contrario). Il contratto di esclusiva totale è fortemente sconsigliato agli artisti con forte personalità, agli artisti ispirati, a coloro che vogliono essere autonomi e liberi, che non vogliono obblighi fissi ma che vivono l’arte come espressione e comunicazione e non meramente come fonte di guadagno. In questi casi è meglio affidarsi a un consulente che operi al fine di favorire la penetrazione dell’artista sul mercato che ne curi l’immagine e ne esalti il valore.
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